foto Antimo Piccirillo

Non c’è stagione agonistica che a Napoli non si discuta del terzino sinistro. Anche quando Mario Rui dava il meglio di sé, offrendo durante il biennio con Spalletti in panchina un altissimo livello di rendimento, culminato con la conquista dello scudetto, qualcuno tra critica e addetti ai lavori storceva sempre il naso, magari sorpreso dalla costanza garantita dal portoghese. Oggi lo scettro di sottovalutato per antonomasia è finito tristemente nelle mani di Mathías Olivera. Succede quest’anno, dove in pochi ne riconoscono i meriti nella solidità difensiva della squadra di Conte. Era così anche lo scorso campionato, quando un gruppo vincente fino a qualche settimana prima si trasformò di colpo in una accozzaglia di giocatorini, accomunati esclusivamente dal triangolino tricolore ad adornarne la maglietta.

L’uruguagio è sicuramente un giocatore di cui parla troppo poco; mai celebrato come dovrebbe, quando fa cose inaspettate, tecnicamente o tatticamente. Mentre tutti lo notano le volte in cui commette delle imperfezioni. Per esempio ieri, con Birindelli capace di tagliargli comodamente alle spalle, per ricevere nello spaio profondo, e poi mettere in mezzo un pericolosissimo cross in cutback. Alimentando i rimpianti di Nesta, se solo il Monza avesse avuto piazzato all’altezza del dischetto un vero centravanti, e non una sfuggente controfigura del calibro di Dany Mota.

Terzino da “platoon-system”

Ragionando su Olivera, però, non bisogna farsi prendere dal pregiudizio. Tantomeno su quale sia la tipologia di laterale mancino che idealmente consideriamo dominante. Profili con lo spessore di Theo Hernández oppure Dimarco, per intenderci, decisivi nel sistema di Milan e Inter. Trascurando, almeno in questa sede, i riflessi prodotti dalla svogliatezza palesata a tratti dal francese. Tra le cause principali, nonché iconografia negativa, nella fallimentare annata rossonera, caratterizzata tra l’altro dalle frequenti insubordinazioni nel rapporto con i suoi allenatori.

Perciò non è giusto emettere un giudizio tranciante sul valore del numero 17 in maglia azzurra, pur se nelle discussioni da bar e sui social viene percepito come appena sufficiente, se non addirittura scarso. Cosa assolutamente non vera, perché si inserisce a perfezione nelle dinamiche sviluppate dal Napoli. Non è difficile, infatti, individuarne l’importanza all’interno delle continue rotazioni e sovrapposizioni che pretende Conte per sovraccaricare le fasce, creando spazi in virtù del gioco in catena: scontato quindi rimarcare il trigger più evidente nella manovra dei partenopei. Ovvero, portarsi via l’uomo, affinché Neres non venga costantemente raddoppiato, evitando che sia l’unica e scontata minaccia a sinistra.

Convenzionale ma non troppo

Eppure, nella sua versione migliore, Olivera esegue giocate in grado di cambiare il trend della partita. Di sicuro possiede forza muscolare e velocità insieme, che usa per condurre palla e crossare. La sua   applicazione rimane un dato di fatto. Forse non tiene estro e leggerezza, al pari di Angeliño. Nemmeno l’abilità nell’accarezzare il pallone con entrambi i piedi, tipica di Andrea Cambiaso. Tuttavia, quand’è in giornata di grazia, manda in panico il dirimpettaio, spesso obbligato a stargli dietro per leggergli il nome stampato sul retro.

In definitiva, il Napoli sta costruendo la sua candidatura allo scudetto avvalendosi di una risorsa abbastanza convenzionale, che certifica come nei flussi di gioco implementati da Conte, Olivera ci stia comunque bene.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Please follow and like us:
Pin Share
Facebook
YouTube