Il Napoli torna da Venezia con un pareggio non particolarmente soddisfacente, soprattutto alla luce della vittoria interista nel big-match serale contro l’Atalanta. Ovviamente, la squadra di Simone Inzaghi non mette una seria ipoteca sullo scudetto; nondimeno i tre punti di vantaggio rappresentano per gli azzurri una notizia non particolarmente felice. Anche perché in laguna i partenopei sono apparsi sottotono dal punto di vista atletico. Un limite che poi ha prodotto conseguenze negative sulla fluidità della manovra, con un secondo tempo interpretato in maniera scolastica, senza alcun accenno ad interscambi o rotazioni posizionali. In effetti, sono mancate proprio quelle giocate tipiche, che finora avevano prodotto grandi risultati.
E importa poco che Conte debba recriminare sulla prestazione sontuosa di Radu, non a torto premiato come migliore in campo: unico rimpianto di un pomeriggio altrimenti condotto al piccolo trotto. Nella ripresa il Napoli è letteralmente scomparso dal campo, almeno per quanto riguarda la pericolosità palesata negli ultimi sedici metri. Incapace di mettere in movimento la coppia d’attacco, ed al contempo trovare una valida alternativa offensiva ricorrendo al lavoro degli esterni. Spinazzola ha creato diversi grattacapi a Zerbin. Politano, invece, sembrava a disagio quando doveva puntare Ellertsson. Una involuzione presumibilmente legata ad un pizzico di stanchezza. Per cui sono mancate le proverbiali scorribande a sostegno dei riferimenti in attacco.
Insomma, si è notata una mancanza di brillantezza, sintomatica dell’approccio tattico scelto dall’allenatore. D’altronde, col passaggio al 3-5-2, non domina più la scena il gioco in catena sulla destra. In ogni caso, Politano deve mantenere un atteggiamento accorto, lavorando a tutta fascia, rispetto a quando funzionava esclusivamente da ala.
Polveri bagnate sulla destra
Il tecnico salentino aveva confermato il canonico 3-5-2, rinunciando inizialmente ad Anguissa, per schierare una mediana che prevedeva Gilmour nominalmente da mezzala. Ma in verità utilizzato come risorsa da affiancare a Lobotka. Soluzione indicativa della intenzione di coinvolgere maggiormente lo scozzese nella circolazione bassa, cercando di guadagnare superiorità numerica all’atto della costruzione.
Peccato che mancasse lo sviluppo successivo, cioè il dinamismo associato al movimento senza palla, per sfruttare il vantaggio nato dalla verticalizzazione in vanti su Lukaku. Una giocata che, utilizzando la sponda del belga per favorire la ricerca del “terzo uomo”, lesto a stringere nel corridoio intermedio, avrebbe (teoricamente) disequilibrato le scalate difensive predisposte da Di Francesco. Né Politano, tantomeno Di Lorenzo, sono arrivati a confezionare internamente l’azione, frustrando l’idea di Conte: Matteo, mai smarcatosi in diagonale, ha limitato il suo apporto a conduzioni lungo il binario o ricezioni sulla corsa. Mentre il capitano, da braccetto, era impossibilitato a staccarsi dalla retroguardia, venendo a rimorchio, così lontano dalla palla.
Insomma, buone intenzioni, seguite da esecuzioni alquanto discutibili. Sono tutte azioni inserite all’interno di un preciso contesto tattico (la scelta del 3-5-2), di cui bisogna anche guardare i risvolti negativi.
Urge maggiore spregiudicatezza
E’ presumibile, quindi, che il Napoli possa trarre benefici dal tornare ad uno schieramento a tre punte, con Politano e Neres aperti ai fianchi di Lukaku. Che funge da innesco al principio offensivo di allontanare i propri attaccanti affinché aumentino le distanze tra i difensori. Ed al contempo, isolare al centro Big Rom. Una strategia completamente diversa da quella attuata nelle ultime settimane. In definitiva, ambizione e spregiudicatezza vanno a braccetto, specialmente se la mission rimane la ricerca dello spazio liberato dal calcio fluido e posizionale.
Forse siamo giunti ad una fase della stagione in cui il Napoli deve puntare meno sul controllo del ritmo, privilegiando invece l’aspetto offensivo, complice anche l’imminente rientro di Neres. Una risorsa con caratteristiche meno orientate alla gestione della palla, vogliosa di rischiare la giocata a effetto, funzionale poi a creare superiorità numerica grazie all’uno contro uno. E non va trascurata nemmeno la questione della mancanza di fisicità, amplifica dall’assenza di Anguissa. Il camerunese resta un riferimento tecnico ed emotivi, nel connettersi ai compagni e contendere agli avversari le seconde palle. Una situazione dove gli azzurri ultimamente hanno pagato dazio.
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