Ritorno al proporzionale e accordi nei collegi maggioritari. Oppure un’alleanza larga, stile Ulivo. Per Elly Schlein l’unica strada per creare un’alternativa di governo di centrosinistra rimane quella della collaborazione delle opposizioni sui temi. Come fatto fin qui, dal salario minimo alla sanita’, passando per la battaglia contro l’autonomia differenziata, sul futuro dell’automotive, sul salario minimo, sui congedi insomma questa è la strada: costruire una alternativa per tutta quell’Italia che fa fatica e alla quale questo governo non sta dando risposte”. La leader dem lo spiega in un passaggio dell’intervista rilasciata al Tg3. Un flash, tra gli attacchi a Giorgia Meloni e la ‘ricetta’ contro il caro bollette. Parole attese soprattutto alla luce del dibattito che si e’ innescato nel Partito Democratico e in parte delle opposizioni, dopo le parole di Dario Franceschini. L’ex ministro ed ex segretario dem suggerisce di accantonare la questione della costruzione del campo largo o progressista, che dir si voglia, per correre separati alle prossime elezioni politiche, concentrandosi ognuno sulla parte proporzionale della sfida e cercando accordi solo su quella maggioritaria. Una sorta di patto di desistenza che avrebbe il doppio vantaggio di evitare i veti incrociati all’interno del perimetro delle opposizioni, da un lato, e riconquistare il voto moderato che non si sentirebbe ‘costretto’ a votare i partiti di sinistra-sinistra o il M5s. Una lettura che non ha convinto buona parte del Pd e che ha sollevato forti dubbi nello stesso vertice. A poche ore di distanza dall’intervista di Franceschini, infatti, Schlein aveva liquidato la faccenda dichiarando: “Preferisco non rispondere e occuparmi di temi piu’ concreti”. Il Franceschini in versione Von Moltke, “Marciare divisi, colpire uniti”, non convince nemmeno il padre dell’Ulivo, piu’ affezionato al classico “l’unione fa la forza”. Per Prodi, “si puo’ governare quando si armonizzano i programmi, si fanno esaminare da esperti, si discutono con le persone e si va di fronte all’elettorato con una linea comune”. Il Movimento 5 Stelle ha risposto con un “valutiamo” alla proposta di Franceschini. Da Campo Marzio si fa sapere che l’idea e’ compatibile con le aspirazioni della comunita’ Cinque Stelle cosi’ come uscite da Nova, l’assemblea costituente del Movimento. Ovvero, no ad alleanze strutturali, ma si decide volta per volta in base al passaggio elettorale che ci si trova di fronte. Dunque, un confronto su questo e’ possibile. A prendere sul serio l’idea di Dario Franceschini e’ Matteo Renzi. Tanto sul serio da trasformarla in una proposta di legge elettorale: “Dario Franceschini prova a tentare quelli di Forza Italia sul proporzionale. La maggioranza fa quadrato sulla legge elettorale. Noi presenteremo una proposta di legge per ripristinare le preferenze”. Da qui la ‘sfida’ di Renzi a Meloni: “Ha sempre detto si’ alle preferenze. Io dico che cambiera’ idea”. Piu’ scetticismo si registra dentro il Partito Democratico dove l’idea non scalda i cuori. “Franceschini avanza una proposta a mio avviso eccessivamente pragmatica, che elude punti importantissimi necessari alla costruzione di un’alternativa”, dice Alessandro Alfieri, esponente della minoranza di Energia Popolare e membro della segreteria dem: “Io sono tra coloro che continuano a pensare che il Pd non debba rinunciare alla vocazione maggioritaria di partito plurale, con un profilo riformista e una cultura di governo”, aggiunge Alfieri invitando, come fa la leader dem, a ripartire “dal metodo partecipativo seguito per la battaglia sull’Autonomia differenziata. Poi e’ chiaro che bisognera’ arrivare a individuare la figura che rappresenti e tenga insieme progetto e soggetti, candidandosi alla guida del Paese”. A lasciare perplessi, infine, e’ la tempistica del ‘lodo’ Franceschini: “Abbiamo lavorato fin qui proclamandoci ‘testardamente unitari’, cosi’ rischiamo di non farci capire”, e’ il ragionamento offerto da un esponente di primo piano del Pd che sottolinea come manchino piu’ di due anni alle politiche: troppo per aprire un dibattito che, se mira a cambiare la legge elettorale, deve essere fatto piu’ a ridosso dell’appuntamento con le urne, per non perdere “l’effetto sorpresa”.