Dopo la sosta per le nazionali il campionato ha imboccato il suo rettilineo finale. Napoli e Milan si presentano a questa gara ancora in ballo per conquistare l’obiettivo stagionale: gli azzurri intenzionati a consolidare la posizione di contender, rimanendo dunque in scia alla capolista Inter; i rossoneri alla disperata ricerca dei punti necessari per rincorrere l’accesso alla zona Coppe. Come al solito, per aiutarci a raccontarla meglio, diventa interessante concentrarsi sulle differenti modalità con cui le squadre si sono accostate al match.

Iniziando però da un presupposto ben preciso: alla Serie A viene imputata una endemica assenza di intensità. Probabilmente intesa come generico controllo dei ritmi; percepito come passo compassato, che priva il gesto tecnico di velocità e la partita, nel suo complesso, di andamento iperaggressivo. Allora fa effetto constatare che stasera le cose abbiano preso una piega inaspettata. Ergo, non sono affatto mancate scintille e adrenalina.

Merito dei due allenatori, in teoria attestati su princìpi calcistici completamente diversi, averla impostata sulla scorta di idee comunque ambiziose. Abbattendo il pregiudizio di chi spesso ha disegnato Conceição come un avanguardista, contrapponendolo a quel Conte, da alcuni etichettato troppo conservatore per immaginare potesse mai lasciarsi solleticare dal ritorno al 4-3-3.

Mossa e contromossa, premia Conte

Invece, complice anche la defezione dell’ultimo momento di McTominay, messo fuori causa dall’influenza, Conte ha stravolto quella che pareva ormai la sua conformazione, accantonando il 3-5-2 cristallizzato in campo nelle ultime settimane. Dentro Neres, quindi solamente panchina per Raspadori. Al di là delle scelte di formazione, appare subito evidente la volontà di vincere, anziché limitarsi ad amministrare gli spazi, messa in campo dagli azzurri. Insomma, dominare i flussi, pur mantenendo l’equilibrio nelle due fasi, adattando la fase di possesso in relazione all’atteggiamento tattico tenuto dal Milan, con l’obiettivo di generare qualche dubbio ai giocatori di Conceição. Palese l’intenzione del Napoli. In primis, mantenere il controllo della sfera, costruendo dal basso. Cercare soluzioni per arrivare alla rifinitura e alla conclusione, creando situazioni di 2 vs 1, funzionali a forzare le opzioni difensive dei rossoneri. Costringendoli ad andare in pressione piuttosto che coprire le aree di competenza.

L’allenatore portoghese decide di disegnare sotto la linea della palla una struttura 4+2, ideale per fare densità. Tenendo Pavlovic e Gabbia centrali, con Walker e Theo Hernández in ampiezza. A completare lo schieramento, un doppio metodista a protezione della retroguardia: Bondo e Fofana. Tale disposizione lascia ai padroni di casa un ampio margine per sfruttare le corsie. In effetti, nel calcio posizionale teorizzato dall’Uomo del Salento, sovraccaricare la manovra sugli esterni permette di lavorare attraverso le catene, grazie allo scivolamento in avanti del terzino. E la conseguente rotazione interna dell’esterno di parte.

Per cui, associando ai tradizionali strappi di Politano le letture evolute di Di Lorenzo, la squadra partenopea invade la trequarti altrui. Tangibile come questo favorisca le loro dinamiche connessioni, vero grimaldello per scardinare le resistenze del Milan. Sontuosa la giocata in catena che confeziona l’1-0. Una innata fluidità, che ha rotto immediatamente la compattezza avversaria. In particolare, stringendo dentro e saturando l’half space, proprio il capitano, affiancandosi a Lobotka, finisce per agire come un centrocampista aggiunto. Veicolando la sensazione di grande tranquillità, soprattutto se si pensa che i compagni affidano palloni che scottano a uno che solitamente difende e non imposta. E obbligano Bondo e Fofana a prendere una decisione: uscire forte in pressione, rischiando tuttavia sanguinosi filtranti alle spalle. Oppure ripiegare, mantenendo un approccio più prudente, per schermare lo scarico. E lasciare che fosse la batteria di trequartisti ad assorbire gli inserimenti tra le linee.

Gilmour e Lukaku sugli scudi

Decisamente ruvido l’approccio dei trequartisti di Conceiçao. Con Joao Felix in balia della coppia azzurra di destra, e Pulisic desideroso di partecipare al gioco, ma mai servito in verticale, perciò attivato soltanto partendo in conduzione, era Reijnders a sbattersi per sé e gli altri, cantando e portando la croce.

Fondamentale, nello sviluppo dell’azione napoletana, la fattiva collaborazione di Gilmour, che funge da “terzo uomo”. Meno diretto e verticale rispetto alla classica mezzala, l’ex Brighton favorisce l’occupazione strategica degli spazi a ridosso della zona nevralgica. A vederlo chiederli il pallone nel traffico, c’è la netta sensazione di guardare uno oggettivamente troppo a suo agio nella gestione del possesso. D’altronde, saper interpretare il ruolo in chiave moderna, da playmaker aggiunto, cerebrale e sempre nel vivo del gioco, gli ha fatto acquisire lo status di titolare.

Non vanno trascurati, in questo contesto, i movimenti di Lukaku: innegabile quanto sia al centro della scena, venendo incontro. Si carica l’onere di reggere da solo il peso dell’intero reparto offensivo, perché funge da pivot. Lo scopo di Big Rom rimane quello di “fissare” la coppia centrale difensiva, decodificando i comportamenti di Pavlovic e Gabbia. E quando c’è da convertire lo scippo di Buongiorno, il belga si smarca fuori linea e realizza il 2-0.

Lezione di controllo e gestione

Nel tentativo di rientrare in partita, Conceição reagisce al doppio svantaggio con cambi e spostamenti. A formare la cerniera davanti alla difesa, Fofana e Reijnders. Poi, da destra verso sinistra: Chukwueze, Pulisic e Leao. Con Gimenez vertice alto della prima linea. La ripresa è de facto una lectio magistralis su come si passi dal dominio pressoché assoluto, a gestire e controllare l’avversario. In sostanza, il Napoli si è avvalso dello sforzo congiunto di tutti: il sacrificio del suo centravanti; dei centrocampisti, capaci di effettuare precise giocate sul corto. Nonché dei difensori, mai sorpresi delle verticalizzazioni rossonere, con cui il Diavolo, appena riconquistata la palla, ricercava immediatamente la parità numerica nell’altra metà campo. Gli uomini di Conte hanno saputo resistere efficacemente all’accerchiamento.

Per cui, se l’obiettivo era non perdere contatto con l’Inter capolista, e provare a tenere vivo il sogno scudetto, va bene anche il rigore di Gimenez, sui cui Meret non anticipa il movimento, resta in piedi fino all’ultimo, ipnotizzando il tiratore. E il 2-1 di Jovic, al culmine di una bella manovra collettiva, spostando pazientemente gli azzurri con una fitta rete di passaggi orizzontali da un lato all’altro del campo. Prima di imbucare per il tap-in.

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