Il Napoli per ripartire, dopo il tonfo di Como, e conseguente declassamento a favore dell’Inter. Il sorpasso in testa operato dai nerazzurri offriva dunque una ghiotta occasione alla squadra di Inzaghi per tentare la fuga. Questi erano i principali temi della gara, già cruciale di per sé, ma comunque non determinante, visto che ormai l’Atalanta ha rilanciato prepotentemente la sua candidatura in chiave scudetto, nonostante abbia perso clamorosamente la chance di avvicinarsi alla vetta col pareggio interno contro il Venezia. A caratterizzare il big-match del Maradona, alcune situazioni tatticamente interessanti.
Conte ha scelto di contrapporsi alla capolista in modo speculare, ripristinando la parità numerica uomo contro uomo, in virtù del medesimo sistema di gioco. Cioè, il 3-5-2. Anche se schierare Gilmour – solo in apparenza da mezzala – invece di Billing nasconde l’intenzione di imbrigliare gli ospiti attraverso una struttura fluida. In effetti, lo scozzese interpreta il ruolo in maniera assai diversa rispetto all’ex Bournemouth. Così, la costruzione muta continuamente proprio grazie alle rotazioni dei due centrocampisti. Per sottrarsi alla pressione avversaria, a turno, si scambiano la posizione. Uno si abbassa in appoggio alla difesa, con compiti di regia. Mentre l’altro, muovendosi maggiormente da interno, funge da valvola di sicurezza per un appoggio sul breve. I concetti che vogliono sviluppare i partenopei sono abbastanza chiari: con la palla, il focus principale non è la semplice gestione del possesso. Bensì il tentativo di finalizzarlo per aprire spazi da saturare poi con gli inserimenti da dietro.
Conte imbriglia la capolista
Insomma, la soluzione utilizzata da Conte è funzionale ad attuare un calcio propositivo sin dalla fase difensiva. Sul versante opposto rimane proverbiale la verticalità dell’Inter. Una squadra che basa tutta la sua forza sulla capacità di fare densità laterale e creare sovraccarichi, con l’obiettivo di sfondare il lato forte o attaccare quello debole. In tal senso, il comportamento dei nerazzurri è tipico di chi alza costantemente il pressing, invitando i padroni di casa a scaricare la palla in una precisa porzione di campo. E dopo chiudergli ogni linea di passaggio, rendendogli impossibile uscire in modo pulito.
Va riconosciuto il merito al Napoli se non produce danni inenarrabili la classica giocata che coinvolge Bisseck, Dumfries e Barella a destra, nonché Bastoni, Dimarco e Mkhitaryan sul versante opposto. Il tentativo di svuotare la zona centrale viene assorbito dai puntuali scivolamenti sottopalla degli azzurri, lesti a scalare sull’avversario che si propone da “terzo uomo”. Senza trascurare il lavoro a tuttafascia dei laterali. Specialmente Spinazzola mantiene un atteggiamento prudente, nondimeno mai rinunciatario. Mentre Politano resta più alto, debitamente coperto da Di Lorenzo. Uno scenario in cui si esalta Buongiorno, il qual rompe la linea, disinnescando qualsiasi iniziativa di Thuram, impedendo che i flussi della manovra interista progredissero efficacemente.
Non manca qualità, la finalizzazione sì
In definitiva, a fare la differenza all’interno di una contesa tutto sommato assai equilibrata ha provveduto la qualità nell’esecuzione di una palla inattiva. Peccato che al Napoli sia venuta meno solamente la finalizzazione: una mancanza di prolificità che sta diventando il vero punto dolente della squadra di Conte. Positivissima fino alla trequarti altrui. Arriva ad attaccare l’area di rigore sia dai lati, che dal centro, sfruttando le combinazioni in catena e il tradizionale palleggio “avanti-dietro-dentro”. Ma Lukaku va in profondità piuttosto raramente, preferendo abbassarsi, per cucire il gioco. Innegabile che così facendo la pericolosità realizzativa si perda nei meandri del possesso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA