foto Antimo Piccirillo

Innegabile che uno dei punti di forza del Napoli sia la capacità di attaccare con molti giocatori. Nondimeno, nelle ultime uscite gli azzurri sembrano scontrarsi con i propri limiti strutturali. Palesando grosse difficoltà nel creare nitide occasioni da gol. A tratti ristagna il gioco, in particolare nei secondi tempi, col la fluidità posizionale che si scontra con la scelta di attestare il baricentro su un blocco medio-basso. Fare grande densità centrale, infatti, inibisce lo sviluppo in catena, bloccando la direttiva costruita sulla asse terzino, esterno e mezzala di parte. L’idea di base rimane di andare in campo aperto, affidandosi a Lukaku per ripulire il possesso. E dopo permettere al belga di combinare, magari sul breve, per premiare l’inserimento a rimorchio di una delle mezzali. Oppure dando ampiezza e respiro alla manovra, scaricando lateralmente; quindi servire l’avanzata sulla fascia del terzino invece della sovrapposizione interna dell’esterno offensivo. Seppure Big Rom svolga un eccellente lavoro di sponda, l’ultimo quarto di campo continua a essere un grosso problema.

I partenopei attorno all’ora di gioco danno sempre l’impressione di non avere più energie fisiche da spendere. Perciò rallentano il ritmo, abbassandosi a difendere l’area di rigore, nel vano tentativo di negare lo spazio vitale ai rivali, sottraendogli la profondità. Una strategia che alimenta un annoso dilemma: è il Napoli che accetta consapevolmente di ripiegare o viene costretto a farlo dall’atteggiamento tattico dell’avversario? Lecito chiedersi allora cosa spinga una squadra decisamente a proprio agio allorché può gestire con calma il palleggio affidandosi ai suoi centrocampisti, lasciarsi poi brutalizzare nella mezz’ora successiva. Conte resta fedele alla propria identità: quando la stanchezza mina le certezze ai suoi uomini, preferisce puntare sulla difesa posizionale. E’ una questione di fede.

Neres pericolosamente in rosso

A proposito di fiducia, persiste la sensazione che l’allenatore non nutra credito incondizionato nei confronti dei panchinari. Ecco spiegato il motivo per cui, nonostante in tanti azzurri perdano progressivamente brillantezza, sia restio a rimescolare le carte, ed i primi cambi arrivino solamente attorno al 70’. Forse si spiegano anche così i numerosi problemi muscolari che stanno affliggendo la rosa. Specialmente Neres sta pagando dazio al serbatoio ormai pericolosamente a rosso. Mentre in uno scenario dove il Napoli si difende vicino alla porta, avere un offensive player dotato di gamba e talento tecnico per andare in transizione potrebbe essere la scelta più razionale da compiere.

Davvero troppo timido e impreciso il brasiliano contro il Bologna: non ha ricavato granché dal dribbling. Talvolta ha sbagliato la misura, consentendo il recupero a Holm, mai battuto nell’uno vs uno. Spesso il terzino svedese annullava lo svantaggio, mangiandoselo vivo con grandi interventi difensivi. Inoltre, ha toccato pochissimi palloni, e non tutti con qualità. Circostanza che mette in mostra in modo persino crudele i punti deboli dell’ex Benfica: quando non viene coinvolto con una certa continuità, e riesce ad isolarsi per ingaggiare il duello individuale, si estranea dal contesto.

In definitiva, Conte dovrebbe trovare la maniera di sfruttare meglio l’esterno, creando soluzioni ideali per le caratteristiche del numero sette: stimolarlo non solo aperto alla massima ampiezza, zona in cui, con un mortifero stop orientato, salta il diretto controllore. Persiste il dubbio che potrebbe riuscire comunque a cambiare l’inerzia di partite bloccate qualora ricevesse nell’half space, grazie ai tagli in diagonale alle spalle della mediana. Giocata che non soltanto obbliga chi lo marca a seguirlo su tracce interne. Ma destabilizza nel complesso la retroguardia altrui, perché bisogna assorbire la rotazione, cioè adattarsi all’inserimento nello spazio liberato da Neres, immediatamente occupato da Olivera o McTominay.

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