foto Antimo Piccirillo

L’infortunio causato al Napoli dal “famigerato” soleo, che ha messo ko anche Anguissa, indisponibile per il big-match di sabato contro l’Inter, apre il dibattito sulla sostituzione del numero 99. Argomento spinoso, che diventa particolarmente interessante alla luce delle dichiarazioni di Conte nella consueta conferenza stampa della vigilia.

Da tutta la settimana mi sto portando avanti il dubbio. Ho ancora ventiquattro ore per decidere…”.

In fin dei conti, è complicato addentrarsi nelle scelte di formazione: obbligano a mettere toppe e rappezzi ad un organico che nelle ultime settimane sta cadendo letteralmente a pezzi. Effettivamente, quello del camerunese è l’ennesimo contrattempo muscolare che affligge i partenopei, dopo Olivera, Spinazzola, Neres e Mazzocchi.

Insomma, l’Uomo del Salento deve scervellarsi ed esplorare la periferia della sua rosa. Una necessità da cui discende poi la letteratura sulla cosiddetta panchina lunga. Innescando l’annosa polemica se i cambi abbiano il crisma della qualità, piuttosto che l’etichetta di meri esuberi, da cui tirar comunque fuori qualche goccia di utilità nel momento del bisogno. A trarre d’impaccio l’allenatore, dunque, una (potenziale) doppia alternativa direttamente dalla Premier League – Billing oppure Gilmour -, che si basa su varie convinzioni, più o meno sostenute dai fatti.

Assecondare la difesa a tre

La mezzala proveniente dal Bournemouth pare la logica soluzione per mantenere inalterato il sistema di gioco rilanciato nelle ultime settimane da Conte e schierarsi sostanzialmente a specchio con l’Inter. Assecondando così la natura di una squadra che ha riscoperto dentro di sé i prodromi del 3-5-2, con i laterali a tutta fascia e le due punte. Ma non va esclusa a priori una ipotesi assai seducente. Ovvero, orientarsi sul doppio pivote, concedendo spazio all’ex regista del Brighton, ed al contempo alzando McTominay a ridosso di Lukaku.

Su questa premessa tecnico-tattica poggiano inoltre considerazioni di carattere prettamente fisico. In un calcio performante come quello attuale è innegabile la differenza abissale che passa tra la Serie A e la Premier: un contesto talmente veloce da risultare davvero improponibile alle nostre latitudini. Perciò taluni giocatori, avendo dato abbondantemente prova di riuscire a sopravvivere ai ritmi imposti dalla deriva ipercinetica impressa al gioco dal campionato inglese, possono diventare spendibili in Italia. Questo non vuol dire sottostimare o fraintendere il loro valore; pur se è giusto riconoscere che esprimersi non sempre al massimo della intensità è una cosa che dalle nostre parti i tifosi e gli addetti ai lavori perdonano con una certa frequenza. Specialmente se a farlo sono presunti “fenomeni”.

Dalla Premier con furore

Allora, va dato atto al diesse Manna di aver intelligentemente buttato un occhio oltremanica, “riciclando” in estate profili di buon livello tipo Billing o Gilmour. Che la competizione interna ai club della Premier renda velocemente obsoleti certi giocatori è una indiscutibile realtà. Perciò risorse come il danese o lo scozzese sembrano marginali in Inghilterra, mentre in A possono davvero dimostrare la loro efficacia.

Uno scenario che risente, ovviamente, della soglia di investimento stabilita dalla proprietà. Del resto, pure a gennaio, ad alimentare il mercato, movimenti continui e imprevedibili: a farla da padrone, l’inderogabile legge della domanda e dell’offerta. Peccato che cifre e numeri confermino una triste realtà, di cui bisogna prendere atto. Non soltanto all’ombra del Vesuvio. Riconoscere cioè che la Serie A ha perso lo status di campionato appetibile per antonomasia del calcio internazionale. Stenta a muovere (in entrata) top player, o spendere e spandere a piacimento soldi che ormai gli scarsi ricavi non riescono affatto a coprire. Ergo, non suscita il medesimo appeal degli anni ’90.

A far vacillare un italocentrismo che ai tempi dell’edonismo reaganiano era veramente inattaccabile, proprio la scintillante e rapida ascesa della Premier. In grado di stanziare budget importanti per affascinare stelle riconosciute o prospetti in divenire, che non ci pensano molto prima di attraversare lo stretto di Dover. Uno scenario talmente rivoluzionario da cannibalizzare chiunque voglia imbastire lucrose trading players. In definitiva, la modifica inesorabile dei rapporti di forza segna indirettamente il destino delle nostre squadre, compreso il Napoli, spesso costrette a guardare in casa della “Lega più ricca del mondo” alla disperata ricerca di occasioni vantaggiose (Billing e Gilmour rientrano sicuramente in questa categoria). Dovendo però accettare scommesse o mezzi giocatori, se vogliono mantenere una parvenza di competitività col resto d’Europa. Oltre a rivitalizzare i talenti smarriti, finiti in desuetudine, se non addirittura nel dimenticatoio.

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