Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e con il Presidente della Camera Roberto Fico,al Parlamento in seduta comune per la cerimonia di giuramento .(foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il Parlamento in seduta comune è stato convocato per giovedì 13 febbraio alle ore 9.30, con l’obiettivo di eleggere i nuovi giudici della Corte Costituzionale (Consulta). La convocazione è stata annunciata dopo la conferenza dei capigruppo di Montecitorio, dove sono state definite le modalità di svolgimento della seduta. L’elezione dei giudici della Consulta è un passaggio cruciale per garantire l’indipendenza e la legittimità della Corte, chiamata a risolvere le questioni più delicate riguardanti la Costituzione.

Nel frattempo, a margine della conferenza dei capigruppo, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ha risposto alle domande dei giornalisti in merito al clima politico che circonda questa elezione. Il ministro, in riferimento alle recenti polemiche sul caso Almasri, ha dichiarato con ottimismo: “Sperare non costa niente”, suggerendo che, nonostante le difficoltà, è possibile raggiungere un accordo tra la maggioranza e le opposizioni. L’accordo per eleggere i giudici della Corte Costituzionale è sempre un processo delicato, dato che richiede un’intesa tra le varie forze politiche, ma Ciriani ha sottolineato che la speranza di trovare una soluzione è ancora viva.

Le tensioni politiche recenti, che hanno visto anche lo scontro sulle nomine alla Consulta, non sembrano però aver pregiudicato definitivamente il dialogo. Nonostante le divergenze, c’è ancora la possibilità che le forze politiche riescano a trovare un’intesa, garantendo così una scelta condivisa per i nuovi giudici della Corte. Tuttavia, il tempo stringe e giovedì prossimo, quando il Parlamento si riunirà in seduta comune, sarà il momento decisivo per comprendere se le speranze di Ciriani si tradurranno in un concreto accordo tra le forze politiche.

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