Rosario Pastore, storica firma della Gazzetta dello Sport, sul suo profilo facebook ha commentato Napoli-Atalanta.
Una domanda semplice semplice: a che cosa vogliamo giocare? A nascondino, affermando che la sconfitta del Napoli conrtro l’Atalanta è stata un semplice incidente di percorso, che gli azzurri faranno dimenticare magari fin da domenica prossima, nella trasferta in quel di San Siro? Se preferite questo giochino, abbastanza ipocrita anzichenò, vi invito amichevolmente a non andare più avanti nella lettura. Se poi vogliamo tutti insieme, senza incazzarci, per favore, intavolare una piccola discussione su quanto è appena accaduto al Maradona, ebbene, andiamo avanti, senza prenderci per i fondelli.
UMILIAZIONE – Quella di poche ore fa non è stata solo una sconfitta. La formazione bergamasca ha propinato al Napoli una vera e propria lezione di gioco. Delle due squadre in campo, una ha regalato calcio, a tratti spettacolare, a volte di grande spessore, sempre concreto e puntuale. L’altra ho presentato atleti che si facevano irretire, che erano preda del pressing non asfissiante ma decisamente costante, con una superiorità nel palleggio a tratti irridente. Fin dai primi minuti, a parte qualche spunto che a me è apparso decisamente episodico (vedi il palo di McTominay), i nerazzurri hanno tenuto in mano il pallino del gioco. Con determinazione ma ache, è questa è la nota più preoccupante, con lucidità tattica e condizione fisica sicuramente superiori. Già dopo una manciata di minuti, Atalanta avanti. Grazie allo spunto di un’accoppiata che i difensori partenopei si sogneranno stanotte come il peggiore degli incubi. I protagonisti, De Keteleare, scartato e quasi regalato dal Milan all’Atalanta due anni fa come una pezza da piedi, e Lookman, che in italiano si traduce: guarda l’uomo. E il povero Di Lorenzo, che si trovava a marcarlo, non ha potuto far altro che guardarlo e vederne esplodere il micidiale sinistro, finito alle spalle di Meret.
LOOKMAN SI RIPETE – A differenza di Paganini, c’è stata la ripetizione una manciata di minuti dopo. Ascoltate: De Kateleare, sulla trequarti, è circondato (si fa per dire) da Olivera e Buongiorno, se ne libera quasi con leggerezza e serve Lookman con quello che nel rugby chiamano tiro di spostamento. Stavolta è il destro che agisce ed arriva lo spietato raddoppio per i nerazzurri. Un 1-2 da far gelare il sangue. Tanto più che tra i due gol c’era stato il palo di McTominay che si era andato a stampare su palo di Carnesecchi. Purtroppo, lo scozzese avrebbe offerto di positivo solo questo. Perché sia lui, sia il connazionale Gilmour, sia Anguissa sono stati irretiti come verginelle dai centrocampisti avversari. Finendo con l’innervosirsi, sbagliando a volte i passaggi più elementari. La contrapposizione tra le due squadre diventava sempre più evidente. Lento, quasi scontato il gioco del Napoli; preciso quasi al millimetro nei passaggi quello nerazzurro. Mai gli azzurri hanno dato l’impressione concreta di poter ribaltare il risultato. Anzi, i rischi maggiori continuava a correrli il povero Meret, con quelle incursioni costanti nella trequarti del Napoli. Perché, ecco, nonostante il vantaggio, l’Atalanta ha continuato a martellare, a palleggiare con precisione, a tenere lontano l’avversario dalla propria porta.
LUKAKU – E quando i partenopei superavano le linee e provavano a passare, le azioni si infrangevano contro lo scoglio Hien, il poderoso difesore svedese che ha fatto strame di Lukaku. A parte il passaggio del belga a McTominay nell’azione del palo, l’ex Chelsea non lo si è più visto. Sempre anticipato, sempre superato, sempre annichilito dal suo spietato marcatore. Ed è sorprendente che Conte abbia deciso di sostituire Lukaku sono nella manciata di minuti finali. Sia chiaro: lungi da me affermare che la sconfitta abbia un solo colpevole in Lukaku. La colpa è di tutti, indistintamente. Gli ultimi minuti sono stati i peggiori. Perché, dopo il terzo gol, quello del capocannoniere del campionato Retegui, la resa è apparsa totale, il Napoli dava l’impressione di aspettare impaziente il fischio finale di Doveri. E c’è stata l’umiliante melina bergamasca.
IO E NOI – Ho sentito le parole di Conte nel dopopartita. E capisco perfettamente la disperata difesa che ha fatto il tecnico. Ha perfino detto che non aveva alcunché da dire su impegno e voglia profusi dai suoi giocatori. Ripeto, è giusto così, ci macherebbe altro, anche se verrebbe voglia di chiedere a me stesso quale partita io abbia appena visto. Conte ha ribadito che l’Atalanta è forte, fortissima, forse la più forte di tutte le aspiranti allo scudetto. Probabilmente è così, anche se la superiorità non gistifica l’umiliazione. Restano le parole, chiarissime, dell’allenatore in settimana: <Lasciamo perdere l'”io”. Nel Napoli conta il “noi”>. Concetto importantissimo, che dovrà continuare ad essere lo slogan di questa squadra. A cominciare da domenica prossima, in una trasferta in terra interista che si annuncia estremamente ardua. Il Napoli non parte battuto, ci mancherebbe. Occorre solo che si renda conto di non essere formato da quattro scappati di casa ma da grossi professionisti. E, a tal proposito, mi consenta, mister, un consiglio, anche se difficilmente mi leggerà: dimentichi quel decimo posto del’anno scorso, che lei rivanga in continuazione. Quel decimo posto è storia, purtroppo negativa, ma è storia, ovvero il passato. Questo Napoli è un’altra cosa. Dev’essere un’altra cosa. E non c’è bisogno più di ricordargli costantemente da quale abisso arrivi. Grazie.