Antonio Conte è un meteorite che sta impattando fortissimo sulle sorti del Napoli. Gli sono bastati davvero pochi mesi per farsi benvolere con tanta intensità nella città dell’ammore: un luogo mistico ed a tratti pure contraddittorio, dove un verbo viene soppiantato dall’uso del sostantivo. A pensarci bene, l’amore della gente viene abbondantemente compensato (ovviamente, in negativo…) dal fuoco amico di certa critica, mai benevola nei suoi confronti. Restia ad accettare la franchezza di un personaggio sicuramente scomodo. Nondimeno, sincero come pochi quando apre la bocca.
Complicato, del resto, far accettare a media, addetti ai lavori ed ex a vario titolo – giocatori, allenatori o dirigenti, che spesso non sanno nemmeno quello che dicono – la realtà di una piazza vogliosa di avere sempre di più. Eppure abituata da vent’anni ad una proprietà che si muove a piccoli passi rispetto alle spese folli delle multiproprietà straniere. E perciò perennemente sospesa in un limbo. Concretamente, l’orizzonte gestionale di Aurelio De Laurentiis non fa altro che ribadire la necessità di questa politica, imprescindibile per colmare il gap con la concorrenza, almeno a livello di Top Club. Per cui, immaginare proiezioni a medio-lungo termine appare obiettivamente pretestuoso.
Ribadito un concetto noto
In questo scenario si spiega forse l’ascesa quasi messianica di Conte: raramente, nella storia del club partenopeo, un tecnico era stato avvolto da un amore talmente puro e travolgente, da stringere un rapporto così viscerale con l’ambiente. E per sentirsi al contempo ammantato da una stima incondizionata. Dimostrandosi anche immediatamente decisivo. Peccato che poi l’Uomo del Salento in talune circostanze si faccia prendere la mano, lanciando qualche frecciatina velenosa. E’ il caso delle dichiarazioni rilasciate ieri, nel consueto incontro con i media, che anticipava la partenza per Monza.
“A inizio anno ho detto molte cose, alcune posso confermarle e altre no. Non rinnego niente, ma mi sono reso conto di alcune dinamiche, come il discorso di Kvaratskhelia. Avevo detto che il Napoli non doveva essere un club di passaggio, ora non vorrei passare per bugiardo su cose disattese. In otto mesi qui ho capito che tante cose non si possono fare…”.
Per alcuni, una bordata diretta al presidente, capace di metterne addirittura in discussione la sua permanenza all’ombra del Vesuvio. Per altri, semplicemente, la necessità di ribadire con maggior vigore concetti già noti a chiunque. D’altronde, l’andamento dal sapore “cinematografico” di certe conferenze stampa sembra del tutto coerente con la scelta di un club retto da chi è avvezzo al mondo dorato e scintillante della finzione.
Sogno e non obiettivo
Nel frattempo, cominciano a delinearsi gli opposti schieramenti. E avanza deciso il partito di quelli tendenzialmente orientati ad accusare Conte di essere il solito egoista, ossessionato da sé stesso piuttosto che dal bene della squadra. Niente di più falso, sotto il cielo di Partenope. Per lui, tradire valori radicati da anni di professionismo, in campo e poi in panchina, per provare a vincere, equivale a imbarcare una sonora sconfitta. Per questo preferisce che a parlare sia il campo. Sacro quanto la religiosa sacralità dello spogliatoio. Anche se qualche volta sarebbe meglio tacere.
Lecito allora chiedersi, nel bel mezzo della corsa scudetto, cosa resterà di questi mesi qualora gli azzurri non riuscissero a spodestare l’Inter. La squadra partenopea è ancora pienamente in lotta per il titolo, cosa certamente non da poco, considerando che solo un anno fa questo gruppo era stato rinforzato male dalla società, e gestito peggio, da chi si era accomodato in panchina. De Laurentiis aveva sbagliato ogni scelta possibile, contribuendo a far precipitare la sua creatura in un baratro sportivo e manageriale che sfiorava la commedia dell’assurdo. Allora, prevarrà la malinconia per il finale amaro, se vinceranno i nerazzurri, oppure avrà la meglio la gioia, alla luce di un campionato comunque esaltante?
Conte intanto tiene a freno l’euforia, e insiste sul fatto che lo scudetto sia un sogno, non un obiettivo.
“Dobbiamo blindare il piazzamento Champions, vincere ci avvicinerebbe a questo traguardo prestigioso e non preventivabile. Ora siamo lì e cercheremo di dare fastidio fino alla fine. Dobbiamo continuare ad alimentare questo sogno!”.
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