A Napoli forse stanno ancora cercando una giustificazione che dia un senso alla cessione di Kvaratskhelia al mercato di gennaio. Un motivo valido che aiuti a capire veramente perché il georgiano abbia deciso di cambiare aria a campionato in corso, con uno scudetto tutto da assegnare. Perché, invece di credere nell’impresa, rimanendo fino a giugno e provare a scrivere un altro pezzo di storia, ha preferito salutare i compagni, con i contorni del Vesuvio che nell’arco di un paio d’ore di aereo lascia spazio all’ombra della Torre Eiffel.
Sono quesiti legittimi, se rapportati al fatto che la società gli aveva prospettato una discreta offerta economica per adeguare un contratto in ogni caso troppo piccolo per un giocatore già così grande. Si vociferava di un ingaggio da sei milioni l’anno, arricchito da una clausola rescissoria comunque accessibile, almeno per i principali Top Club europei. Arrivata magari in ritardo per convincerlo a procrastinare il divorzio al termine della stagione. Sullo sfondo di un amore tradito, capace di alimentare un mucchio di sentimenti contrastanti, aleggia quindi una domanda senza risposta. Che piaccia o meno, probabilmente il numero 77 s’è lasciato sedurre dal PSG e dalla possibilità di mostrare il suo debordante talento individuale sul palcoscenico della Champions League, altrimenti non si spiega la scelta della Ligue1: un torneo sostanzialmente mediocre, dove i parigini dettano legge, privi di alcun contraddittorio reale, o quantomeno credibile.
Rimpianti e incompiuta amarezza
Insomma, l’impressione che avesse barattato una vagonata di soldi in cambio dell’evidente diseguaglianza competitiva del torneo francese si insinuava con feroce cattiveria nella testa dei napoletani. Sentimentalmente traditi e abbandonati. La Lega d’oltralpe sarà anche un limbo, ma la Coppa dalle Grandi Orecchie rimane il palcoscenico ideale dove palesare dribbling e sterzate da genio visionario, destinato a finte ubriacanti e colpi geniali che lo sottraessero alle pedate assassine dei difensori. Quanta meraviglia, connessa a indubbia nostalgia, dunque, deve aver procurato nella città di Maradona veder ammirare Kvaradona dominare i Quarti contro l’Aston Villa. Accelerare lungo la fascia sinistra, mentre gli avversari tentano inutilmente di limitargli lo spazio. Ed il suo estro si converte in poesia pura.
Per sopportare l’insostenibile malinconia generata da una passione delusa i tifosi azzurri hanno reagito come il più classico degli innamorati feriti: opponendo un comprensibile rancore, se non addirittura un inspiegabile disprezzo. Solo così possono essere tollerati i giudizi trancianti, che hanno cercato di derubricarne la grandeur, e l’accostamento tra lui ed El Diez. Qualcuno affermava che dopo lo scudetto, accompagnato dal riconoscimento come MVP del campionato, si era progressivamente eclissato. Sosteneva con enfasi una stramba teoria: in fondo non era mica il fenomeno etichettato da chi si era lasciato folgorare appena sbarcò in Serie A, due anni e mezzo fa. Quanta bellezza sbiadita nel giro di un amen; un senso di incompiuta amarezza, che cancella la gioia dei momenti indimenticabili passati insieme.
Dominante in Champions
Nondimeno, se il PSG è nuovamente in semifinale di Champions, grossi meriti vanno ascritti proprio a Kvaratskhelia, tornato ai livelli di ingiocabilità che conoscevamo. E autore di una prestazione mostruosa contro l’Aston Villa: specialmente nel 3-1 del Parco dei Principi, la settimana scorsa, ha dato la spallata decisiva ai Villans, trascinando i suoi. Al di là del gol con cui ha stupito Matty Cash, che tentava inutilmente di decodificare le sue intenzioni, de facto incapace di opporglisi con buone o cattive maniere, al punto da meritarsi il cartellino giallo e costringere Emery a sostituirlo a fine primo tempo. Non che ad Axel Disasi, entrato in luogo del frastornato compagno di reparto, è andata meglio. Il georgiano si isola sull’esterno in situazione di uno contro uno. Poi lo punta in campo aperto, convertendo un potenziale pericolo in sentenza definitiva. Il tracciante violento e precisissimo con cui buca Dibu Martinez sul palo più vicino è una condanna senza appello. Un messaggio di gioiosa leggerezza calcistica al suo nuovo pubblico, l’ennesima stilettata al cuore di chi l’ha amato con addosso la maglia del Napoli.
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