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Al di là di come andrà la gara di domani a Bologna, è innegabile che la scelta di affidare la panchina ad Antonio Conte sia stata azzeccatissima. L’allenatore salentino sta dimostrando di essere il profilo ideale, sbarcato all’ombra del Vesuvio proprio nel momento giusto. Ovvero, quando bisognava riparare ai disastri della stagione post-scudetto, nata male e gestita peggio, con arroganza e presunzione. Insomma, in estate De Laurentiis, ormai consapevole che fosse giunto il momento di cambiare mentalità, ha messo a segno un gran colpo, spianando la strada al lavoro di chi appariva in grado di riportare subito il Napoli nel gotha della Serie A. Non solo, ha rivoluzionato in toto l’area sportiva, assumendo Oriali in qualità di Club Manager, una posizione dirigenziale che fino a quel momento aveva avuto connotazioni assai amatoriali. E affidato a Manna la responsabilità del mercato.

Eppure, gli anni della sua presidenza si contraddistinguono per la capacità di convincere un ambiente ambizioso della necessità di amministrare la società in maniera responsabile, portando avanti una precisa mission aziendale, a suon di stipendi contenuti, spese pazze centellinate. E cessioni dolorose. Come ha fatto, allora, un personaggio talvolta egocentrico e accentratore a persuadere “l’uomo dei sogni”; nonché i suoi più stretti collaboratori?

Voci (inutilmente) destabilizzanti

I rapporti di potere nel “Sistema-calcio” non sono affatto cambiati; nondimeno, il Napoli continua a stare al passo coi migliori club del campionato. Dei quali però non ha le medesime entrate. Di certo, a causa di uno stadio da ristrutturare pesantemente, mancano all’appello gli introiti derivanti dalla massiccia vendita dei biglietti. Nonostante al Maradona ci sia il sold out in ogni partita: una circostanza che produce i suoi effetti anche su marketing e guadagni pubblicitari.

Ma anziché gioire per i risultati della squadra, inaspettatamente in piena lotta per lo scudetto, non passa giorno senza che si legga sulla stampa sportiva – nazionale e (ahimé, locale) – che il progetto Conte possa già smobilitare a fine stagione, con il tecnico certamente destinato ad altri lidi. Le solite note: Milano sponda rossonera, per riportare il Diavolo ai piani nobili del campionato. Qualcuno addirittura vocifera che alla Juventus sia venuto il ghiribizzo di riportarlo alla “casa madre”. Staremo a vedere. L’impressione, tuttavia, è che ADL abbia gli argomenti per trattenerlo. Come? Mutando pelle e filosofia gestionale; una mossa tutt’altro che scontata, in un ambiente – quello del calcio italiano – assai restio ai cambiamenti.

Pieni poteri decisionali

E’ innegabile che la proprietà statunitense che comanda a Milanello sia più sbilanciata verso l’aspetto manageriale ed economico. Per cui, di sicuro sa massimizzare gli investimenti e far quadrare i conti. Ma non ce ne voglia Ibra, spesso ha dimostrato di difettare all’interno dell’organico dirigenziale di una figura strategica che mastichi calcio. Un ruolo ibrido, che abbia cioè grande potere nella stanza dei bottoni, ed al contempo sappia svolgere egregiamente il lavoro di campo.

A Napoli, invece, s’è formata una nuova triade, investita di pieni poteri: Conte, Oriali e Manna, ciascuno con specifiche competenze e campi di azione. Una sorta di direttorio, sportivo oppure generale, che da un lato, conoscendo chiunque nell’ambiente, sa trattare con calciatori, procuratori e agenti, specialmente in periodo di mercato. Usando con colleghi o presidenti, a seconda delle necessità, diplomazia o fermo decisionismo. Dall’altro, rimane costantemente vicino al gruppo squadra: per loro c’è sempre e vede tutto. Chissà che non sia questo il segreto del successo partenopeo.

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