Antonio Conte l’ha sempre difeso, eppure guardando Romelu Lukaku all’inizio della partita contro la Fiorentina si ripresentava l’angosciante sensazione che le cose non stessero andando lisce e l’attaccante stesse continuando a sbattere contro i suoi stessi limiti. Difficile immaginare, infatti, che giocando come fa di solito, cioè spalle alla porta, il belga potesse rubare il tempo a un indemoniato Pablo Marì. Del resto, è risaputo che a questi livelli la zampata risolutiva si decide sulla scorta di margini strettissimi. Per cui diventa inevitabile perdere secondi preziosi se non vieni coinvolto costantemente. Anzi, sei ingabbiato in un frustrante lavoro di sponda e null’altro.

Impossibile, dunque, cavare qualcosa di utile, poiché il marcatore ti rallenta, restringendo ogni spazio, disinnescando la tua efficacia. Frustrante sbattere contro un muro se carichi a testa bassa. Allora diventa crudele pensare che la squadra non stia sviluppando il calcio ideale per le tue caratteristiche, creando un habitat poco congeniale.

La puntualità di Big Rom

Insomma, all’orizzonte si profilava l’ennesima bocciatura della critica più oltranzista, che ne rimarca sempre la versione discontinua – e quanto pesino le sue prestazioni sulla scarsa produzione offensiva degli azzurri -, piuttosto di considerarne il rendimento funzionale alle esigenze del collettivo. Big Rom sembrava davvero finito in un incubo: simulacro del centravanti devastante che fu.  Poi arriva il 25’ e si cristallizza la capacità del numero undici di determinare nel momento esatto in cui le distanze si dilatano. Lui trova finalmente uno sprazzo di incisività, segnando un gol pesante in un primo tempo a tratti complicato. Dove comunque il migliore era stato De Gea.

Da lì in poi Lukaku ha disputato un match privo di compromessi; tipico del suo stile, fatto di duelli individuali, conditi talvolta da qualche passaggio un po’ forzato. Col tempo prende fiducia, pare muoversi con l’intenzione di promettere qualcosa di importante. Con quella sicurezza, che non sfocia mai nel narcisismo, in una frazione di secondo serve un assist sontuoso per il raddoppio di Raspadori. Sul filtrante di Gilmour, che accompagna l’azione senza considerare terminato il suo lavoro col semplice recupero, Romelu anticipa il marcatore, e mentre Jack prosegue la sua corsa, aggredendo lo spazio, ne stimola la verticalità. Una giocata significativa della volontà mostrata dal Napoli di non cambiare l’atteggiamento tattico, spingendo all’indietro la linea difensiva della Viola. Costringendola ad abbassarsi molto sulla circolazione palla sviluppa dagli azzurri con grande qualità.

I meriti tattici di Jack

In definitiva, il Napoli si aggrappa ai numeri di Lukaku, arrivato a 10 reti e 8 assist, per mantenersi in scia alla capolista Inter. La scaltrezza del centravanti nel farsi trovare all’appuntamento col tap-in vincente, abbinata alla vivacità di Raspadori, alla terza rete da quando Conte lo utilizza da seconda punta “pura”, stanno regalando verticalità e varietà all’attacco degli azzurri. Innegabile, infatti, che schierando l’ex Sassuolo a sostegno di Romelu, l’Uomo del Salento abbia cambiato radicalmente lo stile alla fase offensiva della squadra partenopea. Oggi caratterizzato da un approccio maggiormente orientato alla mobilità. E perciò decisamente più imprevedibile.

Uno scenario tattico in cui vanno necessariamente riconosciuti anche i meriti dell’ex Sassuolo, che con le sue tracce interne, venendosi a prendere puntualmente il pallone dietro Cataldi, ha contribuito a snellire la manovra offensiva, liberando al contempo Lukaku da molti oneri in fase di palleggio, così da permettergli di stazionare in pianta stabile negli ultimi sedici metri. A proposito di libertà nei movimenti: la qualità nelle letture del belga talvolta gli suggerivano di allargarsi, smarcandosi fuori linea. E ripulendo la zona pericolosa, che veniva puntualmente saturata dal taglio di Raspadori alle spalle di Ranieri.

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